2019, il golden year per l’export agroalimentare italiano. Tutti i prodotti alla base della dieta mediterranea hanno volato alto, nonostante le minacce sui mercati internazionali made in UK e USA. Nello specifico, un’affermazione senza precedenti per il settore lattiero caseario che ha superato un fatturato estero di 3 miliardi + 11,2% rispetto al 2018. Molto positivo anche il risultato della pasta 2,6 miliardi, +7,2% e del settore dei prodotti da forno panetteria, biscotti e pasticceria, che hanno fatto registrare vendite export per 2,33 miliardi +11,7%. Il vino italiano si conferma centravanti di sfondamento nel mercato straniero: 6,43 miliardi + 3,2%.

Cosa ne sarà di tutti questi straordinari risultati, dovremo dimenticare di essere i produttori e gli esportatori di salubrità, gusto, genuinità, arte anche culinaria? Come riusciremo ad essere ancora l’incubo dei nostri vicini d’oltralpe, a travolgere la concorrenza sulle tavole di tutto il mondo?

Eh già perché il coronavirus è arrivato senza bussare alle porte dei cittadini del mondo intero, sconvolgendo le vite di miliardi di persone, portandosi dietro come strascico uno stuolo di economie ridotte in fin di vita. Ogni Stato ha fatto scudo come poteva, ogni Governo ha indossato la sua mascherina, metaforicamente parlando, per allontanare come poteva il contagio anche economico oltre che biologico. Non c’è stato nulla da fare, il lockdown attuato in tutto il mondo, in modo più o meno stringente, è stata una mascherina asfissiante per le economie interconnesse e globali. Ciò che accade in Cina, inevitabilmente ha i suoi effetti sulle produzioni e sulle esportazioni del mondo intero. Restando in Europa, sembra che l’interdipendenza e la delocalizzazione delle produzioni o parte di esse abbia messo in seria difficoltà anche i giganti teutonici delle quattro ruote: la chiusura delle imprese che si occupano di componentistica in Italia e Spagna non consente alle fabbriche tedesche (che riapriranno dopo Pasqua) di poter riprendere le normali attività produttive.

Per l’export c’è da considerare anche il problema logistico, settore che, lungi dall’essere completamente automatizzato, necessita dell’intervento umano non tanto per la movimentazione delle merci, che pure ha il suo rilievo, quanto per la programmazione e l’ottimizzazione del servizio. Il fattore umano è, tuttavia, ai tempi del coronavirus, un elemento che reca in sé una imponderabilità ineluttabile: se il virus investe un lavoratore, l’intero magazzino si ferma per la quarantena.

Il quadro rende ancora più onore al comparto agroalimentare italiano, che ha in sé inglobato e fatte proprie quelle caratteristiche di resilienza e perseveranza, tipiche dei processi naturali, che gli operatori del settore rispettano e valorizzano. Gli italiani continuano a trovare prodotti freschi sui banchi dei supermercati e, tutto sommato, i prezzi continuano ad essere accettabili. Per quanto tempo si riuscirà a garantirli? Non per molto ancora, a detta di autorevoli esponenti del mondo agroalimentare. Si teme che il consolidamento delle difficoltà nelle esportazioni dei beni italiani, dovute a fattori endogeni, e gli ostacoli alle importazioni degli stessi da parte dei paesi esteri (attuate più o meno dolosamente), possa spingere ad un vuoto negli scaffali dei supermercati stranieri. Così, i prodotti nostrani, potrebbero essere ben presto sostituiti con pessimi prodotti fake, alimentando il già florido mercato dell’Italian Sounding.

“È proprio adesso che si gioca la partita più importante. È necessario combattere con tutte le energie l’assalto alla diligenza da parte degli sciacalli per accaparrarsi quegli spazi lasciati liberi sugli scaffali. Quel vuoto, una volta riempito con i vari Borgonzola, Salsa Pomarola, Zottarella e Spagheroni, sarà difficile da rimpiazzare con prodotti genuinamente tricolore. I produttori da soli non ce la faranno.” Così Fabrizio Capaccioli MD ASACERT e ideatore del sistema di certificazione ITA0039.  Occorre, insomma, stanziare con urgenza un massiccio investimento nelle campagne di marketing all’estero in favore dello straordinario patrimonio di beni agroalimentari italiani, mettere immediatamente a disposizione fondi deburocratizzati per le imprese che esportano ed incentivare le riconversioni delle aziende tradizionali in e-commerce. Affiancare le aziende, mettendo loro a disposizione agenzie guida esperte, che prendano per mano gli imprenditori e li conducano in modo sicuro sul cammino verso l’internazionalizzazione.

Conclude Capaccioli: “Mai come adesso occorre tutelare con maggiore incisività la salvaguardia dei veri ristoratori italiani all’estero,  grazie a strumenti efficaci, testati, affidati ad aziende qualificate e specializzate. Non possiamo permetterci falle nel sistema di valorizzazione del Made in Italy, non più. Tutti i processi devono essere portati avanti in modo sistematico e scientifico, oserei dire. Una questione che diventa vitale per la sopravvivenza dei ristoratori italiani che operano in tutto il mondo e per l’intero comparto HoReCa Made In Italy che, nelle sue interconnessioni, è da traino per tutta la produzione agroalimentare”.