L’impennata dei contagi, dovuta alla rapida diffusione della variante Omicron, ha decisamente segnato le feste degli italiani, costringendoli a salutare concerti in piazza, viaggi e discoteche, per abbracciare l’unica certezza di questo Natale: la tavola imbandita delle migliori pietanze che la tradizione culinaria di ogni Paese ci regala a Natale e Capodanno.

Ad esempio in Russia per celebrare il nuovo anno si prepara l’insalata Olivier (equivalente della nostra insalata russa); Haleem è uno stufato che si consuma in Medio Oriente e nell’asia Centrale; in Corea si mangia il porridge di fagioli rossi per scacciare la sfortuna e gli spiriti maligni; uno dei dolci tradizionali natalizi della Gran Bretagna sono i mince pie (una specie di piccole crostatine con i bordi alti); il Capodanno lunare in Vietnam si celebra preparando la torta di banane. Tra carne, pesce, cotechino, lenticchie, zamponi, torroni, frutta secca, formaggi e salumi, panettoni e pandori, gli italiani hanno consumato tra le 15mila-20mila chilocalorie.

Stando ai dati forniti da Coldiretti, se da un lato lo stop forzato ha portato gli italiani a tuffarsi sul cibo – con aumenti di peso fino a due chili – dall’altro sono rimasti sulle tavole circa 400 milioni di avanzi. In particolare, pesce, latticini, dolciumi freschi, ma anche frutta e verdura che, non potendo essere conservati, sono finiti direttamente nella spazzatura. Ciò a causa di una tendenza ancora forte nel nostro Paese a comprare più del necessario, specie in occasione delle feste, quando si preferisce esagerare negli acquisti piuttosto che affidarsi ai reali consumi dei commensali.

Ma la questione dello spreco e del nostro complicato rapporto con il cibo non è esclusiva del periodo natalizio.

Per i nostri antenati il cibo era sopravvivenza e – spesso – fatica. Quando nel 1789, i parigini si riversarono sulle strade della capitale per chiedere il pane, non stavano parlando per metafore: reclamavano il loro alimento principale. Oggi, invece, mangiamo come un tempo mangiavano in pochi. Mai come in questo periodo, il cibo svolge un ruolo essenziale nelle nostre vite. Chiusi tra le mura domestiche, dove le possibilità di “fare qualcosa” scarseggiano, aprire il frigorifero è una delle poche opzioni rimaste. Abbiamo fatto del mangiare uno dei momenti centrali della nostra vita, creando una significativa differenza tra mangiare per fame, cioè per nutrirsi, e mangiare per mangiare. Mangiare per mangiare significa mangiare per sé. Non per le esigenze dettate dal nostro corpo, ma da quelle che ci chiedono il nostro animale sociale e interiore. Il cibo diventa un mezzo per riunirci, per condividere qualcosa, per trovare un’identità.

Nella nostra società abbiamo esperti, estimatori, insegnanti, cuochi, critici: persone che non mangiano perché il loro stomaco brontola, ma perché la cucina è il loro microcosmo naturale, una ragione di vita, un’arte. Tornare ai metodi di coltivazione della nostra tradizione agricola, l’utilizzo di prodotti biologici, ecologici, naturali. Rivalutare l’agri-cultura matrice di prodotti salubri e genuini, qualità di cui la tradizione gastronomica italiana gode.

ITA0039 supporta e tutela la filiera agroalimentare italiana, simbolo di un percorso nutrizionale sano e di qualità. Tutti noi siamo condizionati a comprare ciò che costa meno, l’imitazione economica di un prodotto più caro, pensando di non fare la differenza. Eppure, questo modello di spesa, conseguenza di una spinta che dura da decenni ad anteporre i prezzi bassi a tutto il resto e a considerare i lavoratori e l’ambiente come elementi sacrificabili in virtù del profitto, non è più sostenibile.

Se è vero che “siamo ciò che mangiamo”, ITA0039 spera che il mondo scelga sempre di più il gusto della qualità, del cibo buono e, soprattutto, del Made in Italy.