Un alimento italiano esportato su 5 è doc, ma due made in Italy su tre in commercio all’estero sono falsi. E ancora: le esportazioni agroalimentari griffate tricolore hanno raggiunto nel 2015 un valore record di 36,8 miliardi di euro, ma la pirateria del made in Italy a tavola è un affare da 60 miliardi e ne fa perdere almeno 4 all’anno al volume di affari legale. E infine: in 7 mesi, i primi del 2015, la Finanza aveva sequestrato in Italia 160 tonnellate di cibi contraffatti, dal Veneto alla Calabria con punte da primato nelle Marche e in Liguria. Numeri da emicrania accompagnano i fenomeni del falso made in Italy e dell’italian sounding, cifre sulle quali Coldiretti e Confagricoltura, le organizzazioni più impegnate sul tema, rivaleggiano a suon di convegni e iniziative.

Ma c’è anche da sorridere, in un contesto in cui il dato più preoccupante sono i 20mila posti di lavoro persi ogni anno (secondo Confagricoltura) e i 300mila che si potrebbero guadagnare (la fonte è stavolta Coldiretti) se si vincesse la lotta alla contraffazione alimentare e alla pirateria: l’unico modo per farlo è dare uno sguardo ai malriusciti nomi delle imitazioni di prodotti italiani. Ogni regione riesce a trovare un suo gioiello dalla dicitura bizzarra, tra l’altro facilmente reperibili anche su Internet nei più diffusi siti di ecommerce.

Falso made in Italy: le storpiature più stravaganti

Emilia Romagna

È la regione europea con più prodotti dop e igp, suona allora non troppo bizzarro che sia quella con più alto numero di imitazioni. Le storpiature vanno dai Kapeleti alla Mortadela, rinvenuti in Romania, al Parmezali rumeno, senza scomodare il celebre Parmesan statunitense, russo, australiano e tedesco, fino al misterioso Parma Salami proveniente dal Messico e al poco invitante Sugo bolognese, questo però scritto bene, prodotto in Estonia.

Veneto

Coldiretti, che a fine aprile a Bologna ha radunato migliaia di agricoltori e produttori per denunciare il fenomeno, lo chiama Prosecco sounding, ed è un fenomeno a sé.  Si va dai Semisecco, Consecco e White Secco fatti in Germania dove si producono pure Meer Secco e Krissecco, al Crisecco imbottigliato in Romania, fino al Prisecco inglese aromatizzato alla frutta.

Campania

Un’altra regione dalle mille eccellenze che può sentirsi danneggiata dai nomi di prodotti che evocano l’Italia è la Campania. La mozzarella, per esempio: c’è il kit per fare in casa mozzarella e ricotta, trovato negli Stati Uniti, e la Zottarella tra gli scaffali tedeschi. A Bruxelles, invece, impazza il pomodoro: ecco quindi Italiano sugo e Sugo Napoli, mentre a Londra si posso reperire i Capri tomatoes e i Mini San Marzano, qualità di pomodori della quale sui portali più famosi di e-commerce si possono trovare svariate tipologie, tutte con l’Italia richiamata nell’etichetta.

Orgoglio regionale

Ogni regione ha la sua piccola truffa, in questo campionario di imitazioni che i Nas hanno smascherato girando l’Europa e scoprendo che due prodotti su tre reperibili oltralpe sono falsi. Ci sono il Thai pesto, specialità ligure rivisitata in Oriente, e ci sono i taralli don Maralli, e ancora il kit per fare il Barolo e le tagliatelle alla carbonara, che in Italia peraltro non esistono. E il salame Firenze, il maskarone, il bovizola. Quindi la pasta: spageti in slovenia, spaghete in Romania, gli spagheroni scovati nei supermercati olandesi, i makaroni. E infine i formaggi (dal pecorino romano all’Asiago, per abbracciare tutta l’Italia) e i prosciutti, San Daniele e Parma in prima fila.

Il tutto rientra in un calderone con numeri importanti: lo scorso anno i carabinieri hanno effettuato sequestri per 81 milioni di euro, col gorgonzola a farla da padrone (oltre 15mila tonnellate sotto sequestro) e a seguire 13 milioni di bottiglie di falso Prosecco e 2 di falso aceto balsamico di Modena. Nei primi sette mesi del 2015 la Guardia di Finanza aveva invece sequestrato oltre 162 mila chili di cibi contraffatti. La regione più colpita dai sequestri da gennaio a luglio sono le Marche con 44.564 chilogrammi di alimenti (in gran parte falsi prodotti biologici), seguita da Veneto (30.705) e Liguria (27.100).

Tracciabilità Digitale: la Proposta di Legge

Riguarda anche il cibo la proposta di legge lanciata di recente da 23 deputati: il prodotto potrà essere tracciato a caccia di qualità. La tracciabilità digitale sarà assicurata associando i prodotti a un codice verificabile online che sarà scritto in un chip Rfid (Radio Frequency Identification), o in un barcode, che conterrà le informazioni relative al produttore e al prodotto. Basterà? Di sicuro il volume del giro da eliminare è importante: secondo un sondaggio Format per il Ministero dello sviluppo, su 1.000 imprese agroalimentari con più di 10 addetti quasi 1 azienda su 2 (il 41,8%) ha subito almeno una contraffazione di propri prodotti in Italia fenomeno che cresce fino al 75% nelle imprese con almeno 250 dipendenti. Vini, formaggi, oli, salumi, mozzarella e pasta i più presi di mira.

La mafia in etichetta

La beffa, però, deve ancora arrivare, perché il cheesemaking kit, la robiola fatta in Russia, il salame Napoli e quello finocchiono non sono nulla in confronto al Fernet mafiosi e agli altri prodotti dal discutibile italian sounding che Coldiretti, in collaborazione coi carabinieri, ha trovato in giro per il pianeta. Dal caffe’ Mafiozzo stile italiano bulgaro agli snack Chilli mafia della Gran Bretagna, dal vino il padrino alle spezie Palermo Mafia shooting reperibili in Germania. E poi Bruxelles, ancora: c’è la SauceMaffia e il sugo Saucemaffioso. Un campionario di nomi scherzosi, nelle intenzioni dei produttori, che peggiorano ulteriormente la credibilità del prodotto italiano.
E voi, quale falso made in Italy che evoca e sbeffeggia l’Italia avete trovato in giro per il mondo?

Fonte: Il Giornale del cibo

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