Una legislazione commerciale condivisa è fondamentale per evitare il blocco delle esportazioni agroalimentari italiane in UK e per difendere i prodotti autentici dalle imitazioni fasulle presenti sul mercato.

La Camera dei Comuni ha respinto l’accordo di recesso della Gran Bretagna dall’Unione Europea aprendo una nuova fase di dibattiti con l’obiettivo di evitare il peggiore degli scenari possibili, la cosiddetta “hard Brexit, l’uscita dall’Unione senza accordi. Le conseguenze della nuova posizione politica UK avranno un forte impatto sul comparto del commercio, che, senza la sigla di un trattato, a partire dal 30 marzo verrà regolato esclusivamente dalla World Trade Organization, originando così ingenti rallentamenti doganali e cospicue barriere tariffarie.

A preoccupare l’Italia è in particolare il comparto dell’export agroalimentare, settore di importanza strategica per il nostro Paese, che nel corso del 2018 ha fatturato in UK circa 3,4 miliardi di euro. Gravi danni all’esportazione saranno registrati nel caso di un mancato accordo e – come ricorda Massimiliano Giansanti, presidente di Confagricoltura – non soltanto a causa dell’imposizione di nuovi dazi sui prodotti alimentari e degli inevitabili ritardi riscontrabili alle dogane, ma anche per la prevedibile svalutazione della sterlina, che potrebbe di fatto compromettere in larga parte il nostro accesso al mercato britannico.

Quasi il 30% del cibo consumato ad oggi in UK proviene dall’Unione Europea e l’Italia negli ultimi decenni ha visto crescere costantemente i profitti derivati dall’esportazione oltremanica dei prodotti agroalimentari; particolarmente apprezzati sono vino, ortofrutta, pasta, formaggi ed olio d’oliva, beni simbolo della nostra tradizione culinaria. Il prodotto italiano in assoluto più apprezzato in Gran Bretagna è il Prosecco Dop, con vendite che nell’anno appena concluso hanno sfiorato i 350 milioni di euro, in crescita del 6% rispetto al 2017, secondo i dati registrati da Coldiretti.

Ad aggravare l’impatto che l’eventuale hard Brexit avrebbe sulle esportazioni si aggiungono le liberalizzazioni delle denominazioni di prodotti di origine controllata e l’introduzione delle etichette “a semaforo”.

In seguito agli accordi bilaterali stretti dall’Unione con alcuni Paesi extra-europei, la circolazione di prodotti come il Parmesan – che di fatto rappresentano l’emblema del falso made in Italy – è stata accettata e liberalizzata, nonostante le numerose proteste dei consorzi di tutela italiani. Tali provvedimenti potrebbero aprire la strada in UK ad una vera e propria invasione di fake food proveniente da Paesi quali il Canada e l’Australia, entrambi membri del Commonwealth britannico e di conseguenza agevolati nelle esportazioni.

Il secondo elemento di allarme per quanto riguarda la stabilità del settore è legato alla diffusione delle etichette nutrizionali che indicano tramite bollini rossi, gialli e verdi la presenza di nutrienti critici – come grassi, sale, zucchero – senza tener conto però dell’effettiva quantità presente nel prodotto. Questo tipo di etichettatura, segnalandoli come potenzialmente pericolosi, penalizza notevolmente quasi l’85% dei prodotti italiani DOP e IGP, tra i quali anche Parmigiano Reggiano, Prosciutto di Parma e olio extra-vergine di oliva.

L’attuale contingenza politica porta ancora una volta a soppesare l’importanza dell’implementazione di strumenti validi per la battaglia contro l’Italian Sounding e la contraffazione alimentare. A questo riguardo ASACERT ha elaborato “ITA0039 | 100% Italian Taste Certification”, un inedito protocollo pensato per certificare i ristoranti italiani all’estero e per valorizzarne l’autenticità e l’impegno nella protezione della tradizione culinaria del nostro Paese.