Il crimine a tavola. Ogni anno nel mondo la pirateria agroalimentare fattura circa 100 miliardi di euro. In Italia il giro d’affari delle mafie del cibo ha superato i 25 miliardi nel 2018, un aumento del 12,4% secondo l’ultimo Rapporto Coldiretti, Eurispes e Osservatorio sulla criminalità del settore. Contiene anche una sorta di guida al consumatore, costretto a fare lo slalom tra tossine, inganni e manipolazioni ben annidate nel lungo percorso degli alimenti, dalla produzione al piatto degli italiani. Nel menù criminale, mozzarelle sbiancate con la soda, pesci rinfrescati con acidi organici e acqua ossigenata, carni provenienti dai macelli clandestini, miele tagliato con sciroppi di riso o mais, vino adulterato. Perfino il pane cotto al forno con legna tossica. L’anno scorso un italiano su cinque è stato vittima di acquisti fasulli, avariati o alterati. I reati legati al cibo sono aumentati del 58%. 399 gli allarmi alimentari, più di uno al giorno. Sott’accusa soprattutto il low cost.

Fuori dai confini, 2 prodotti su 3 inseriti nel commercio mondiale evocano il made in Italy ma di nazionale non hanno nulla. È il fenomeno dell’Italian sounding – dal Tomato puree ai Makkaroni – tra i più dannosi per l’economia nazionale. Cambiano volto le leve del potere criminale dell’alimentazione in Italia: oggi sono colte, plurilingue, capaci di muoversi sullo scacchiere internazionale dell’economia e della finanza. Una rete in doppiopetto. Per combatterla, un mix di tracciabilità e monitoraggio costante dei prodotti, norme e sanzioni stringenti.

Fonte: Affari&Finanza