La riapertura delle attività ristorative non è sembrata esattamente una festa, sebbene la passione degli italiani per il ristorante e la buona cucina non siano un segreto.

Il mondo della ristorazione è un grande asset della nostra economia. Negli ultimi 10 anni gli italiani hanno speso sempre di più per mangiare fuori casa, riducendo al contrario la spesa in casa.

I dati parlano chiaro: con 46 miliardi di euro il variegato mondo della ristorazione rappresenta la prima componente del valore aggiunto della filiera agroalimentare. I milioni di turisti che venivano in Italia e che speriamo tornino presto, reputavano ristorazione e accoglienza tra le leve di maggior attrazione e soddisfazione del nostro paese.

Assisteremo, complice la crisi generata dalla pandemia, ad una crescita del già alto tasso di mortalità delle attività. Esistono alcune criticità strutturali nel mercato della ristorazione: dopo un anno chiude il 25% dei ristoranti; dopo 3 anni abbassa le serrande quasi un locale su due, mentre dopo 5 anni le chiusure interessano il 57% di bar e ristoranti. Un dato che si ispessisce se si considera la bassa produttività di questo settore. La motivazione risiede invece nelle piaghe dell‘abusivismo commerciale e della concorrenza sleale. Crescono soprattutto le attività senza spazi, senza personale, senza servizi, soprattutto nei centri storici delle città più grandi. Secondo l’ultimo censimento disponibile, sono 336 mila le imprese della ristorazione attualmente attive. Sono 112.441 quelle gestite da donne che scelgono in un caso su due di aprire un ristorante. 56.606 imprese sono, invece, gestite da giovani under 35. Sono infine 45mila le imprese che hanno soci o titolari stranieri. Negli ultimi 10 anni i posti di lavoro, misurati in unità di lavoro, in bar e ristoranti sono cresciuti del 20%, a fronte di un calo dell’occupazione totale del 3,4%. (Dati Fipe 2019)

Nonostante tutto, la riapertura di bar, ristoranti, pizzerie, pasticcerie e gelaterie ha un effetto valanga sull’agroalimentare nazionale con la ripresa degli acquisti di cibi e bevande che vale almeno 20 miliardi all’anno a pieno regime (stime Coldiretti).

La riapertura è strategica anche per i 24 mila agriturismi italiani che, grazie alla stagione mite, gli spazi prevalentemente open air e disponibilità limitata, sono i luoghi dove è più facile garantire il rispetto delle misure di sicurezza e dove apprezzare le specialità della tradizione enogastronomica del Made in Italy.

Anche i consumi di vino prenderanno una boccata di ossigeno: la riapertura dei ristoranti e del comparto del fuori casa vale 6,5 miliardi di euro per il settore vinicolo.

Ma gli italiani torneranno a mangiare al ristorante, tra plexigass, mascherine, distanziamento e termometri?

Secondo il sondaggio dell’Osservatorio Vinitaly-Nomisma Wine Monitor, realizzato ad aprile che ha interpellato un campione rappresentativo di 1000 consumatori di vino, solo il 23% degli italiani dichiara che andrà meno al ristorante, a fronte di un 58% per cui non cambierà nulla.

Sul fronte revenge spending (spesa della vendetta), come reazione alla clausura, il 10% prevede di spendere più di prima per il vino da consumare fuori casa, il che incide per circa il 45% sul totale delle vendite (i millennials costituiscono i maggiori estimatori). Il prezzo medio alla bottiglia è di 15,4 euro, mentre al calice la spesa è di 5,7 euro.

Brindiamo quindi alla salute della ritrovata ristorazione italiana. Cin-Cin!