Dapprima Sindaci e Governatori, tutti speravano in un più deciso e risolutivo intervento centrale all’altezza delle aspettative, per fare in modo che l’Italia restasse il paese della “Dolce Vita”. Poi, bar e ristoranti hanno realizzato a loro spese che era il momento di rimboccarsi le maniche ancora una volta, per dare l’estrema prova di resistenza in una corsa ad ostacoli tutti da superare, molti non ce l’hanno fatta e nel mondo interconnesso i fallimenti viaggiano veloci come il patogeno che ha provocato il disastro.

I dati di una ricerca, Fiepet (Federazione italiana esercenti pubblici e turistici) su 300 imprese associate fanno registrare un calo del fatturato superiore al 50%, e ben due attività su dieci temono la chiusura. Se poi si valutano i timori per un futuro con un protrarsi della crisi, l’87,5% valuterebbe una riduzione definitiva del numero di dipendenti. Le città italiane, soffrono, non solo per la mancanza di estimatori esteri – si stimano 11 milioni di turisti in meno – ma anche per il calo dell’indotto degli uffici. Lo smart working ha senz’altro salvato la vita a tante aziende, ma ne ha penalizzate molte altre, specialmente quelle legate alla ristorazione.

Segnali di timido ottimismo e il desiderio inequivocabile di una qualche normalità, spingono cittadini fuori dalle proprie tane, complice il caldo e la necessità di riappropriarsi di una vita ritrovata, da riscoprire e riconquistare anche nella convivialità, sostanziata di riti, specialmente per noi italiani, di intensità e passione mediterranea, cibi salubri e vicini alle proprie tradizioni, sempre più presenti nelle scelte culinarie di tutti noi.

La capitale, fa segnare la riscossa delle periferie. Le dimensioni di una città come Roma ha in sé dinamiche e spinte centrifughe, causa della mancanza del consueto flusso turistico che porta il mondo a visitare la città eterna. Stesse dinamiche penalizzanti riferite al lavoro in remoto, che, volendo vedere il bicchiere mezzo pieno, consente ai cittadini capitolini di riappropriarsi a poco a poco di una città che nel suo anomalo centro privo di turisti, riscopre il fascino senza tempo di spazi ritrovati e profondità prospettiche sconosciute ai più.

I ristoratori parlano di una certa situazione bipolare, scende lo scontrino medio, ma c’è voglia di uscire dal guscio. Di certo alcune dinamiche si possono interpretare: le persone vanno con più facilità nel ristorante di quartiere, quello che raggiungono a piedi e in cui si sentono più sicuri, quasi una sorta di estensione della propria cucina, preferendo spazi aperti. La semplicità è premiante, ristorantini e pizzerie, specie se dall’appeal giovane, poiché rappresentano l’offerta rivolta a coloro che hanno meno sulle spalle la sensazione di incertezza economica e vivono più alla giornata.

Milano tutto considerato bene, ma non benissimo. Una città provata, ma desiderosa di ripartire alla ricerca del riscatto agli occhi delle altre città e del mondo intero. Una timida ripresa degli eventi, seppur con cautela. Merito anche le tante iniziative di vendita su bond che oggi i clienti riscuotono. Si riduce il guadagno per il ristorante, certo, ma si recupera con gli extra (vino ad esempio), complice l‘idea di aver risparmiato con l’acquisto preventivo che porta a spendere di più vedendo un conto meno salato.

Si prospettavano scenari ben più negativi. Certo si esce soprattutto nel fine settimana. La scommessa da vincere è a settembre, con l’incremento del ritorno al lavoro in presenza e l’attenuazione dello smart working, magari qualche viaggio in più, scenari esteri permettendo. Intanto, si vive alla giornata, prendendo quel poco o tanto di buono può offrire ritornando al concetto del vivere “qui e adesso”. Anche la scelta di privilegiare il dehors e anticipare gli orari è stata vincente, allineandosi alle consolidate abitudini internazionali.

Ed è proprio all’estero che la situazione sembra essere particolarmente critica. Negli USA dove si registra il maggior numero di ristoratori italiani all’estero, la situazione pandemica è ancora lontana dalla ripresa. I ristoranti abbassano le saracinesche.

Texas, Florida e Arizona, gli Stati più in difficoltà a contenere la ripresa del contagio, e questo anche per una certa confusione nell’impartire misure di sicurezza alla popolazione, che in molte città ha continuato a vivere come nulla fosse, politiche di contrasto al virus non coerenti, da un lato appello alla prudenza, dall’altro la scelta di organizzare la convention repubblicana a Huston, una elle città più colpite.

A New York, il sindaco De Blasio ha rinviato la ripresa delle attività di ristorazione, 4 attività su 5 non sono riuscite a pagare l’affitto nel mese di giugno. Mentre, come accaduto anche in Italia all’inizio della fine del lockdown, le richieste per utilizzare spazi outdoor si sono moltiplicate (già 6800).

Il sindaco ha varato un piano specifico riguardo “Open Streets”, con una parziale applicazione al momento che vede 22 strade di New York chiuse al traffico, per consentire a bar e ristoranti di allestire tavoli dal venerdì pomeriggio e per tutto il week-end, nei mesi di luglio e agosto.

Manca, tuttavia, una visione organica delle misure anti-contagio, ai ristoranti è lasciata più libertà, ma spesso sono costretti a operare al 50% della loro capacità o solo negli spazi all’aperto. Dall’inizio di luglio, tra gli Stati che hanno imposto un nuovo stop per i bar si annoverano anche Florida, Texas, Arizona e Idaho.

In attesa che anche negli Stati Uniti, così come in Italia la tensione si allenti, proponiamo come auspicio di un ritorno ad una ritrovata normalità anche in USA, una intervista a Fabrizio Schenardi, executive chef del Four Season di Orlando, nell’ambito dell’iniziativa “A taste of Piedmont”, organizzata dalla scuola internazione di cucina IFSE in epoca pre-covid.