Oggi entra in vigore l’accordo di partenariato economico (Ape) tra l’Unione europea e il Giappone. Per imprese e consumatori europei e giapponesi si spalanca la più grande area di libero scambio del mondo. Un mercato da 635 milioni di persone. Da oggi il 97% delle esportazioni europee in Giappone è esentato dai dazi. Le restanti linee tariffarie saranno soggette a parziale liberalizzazione, attraverso quote o riduzioni. Il risparmio stimato per gli esportatori europei è di un miliardo di euro di dazi doganali in meno l’anno. Bruxelles e Tokyo continuano a trattare, invece, sul capitolo arbitrato, in relazione alle eventuali controversie che insorgono sugli investimenti. Al momento, dal Trattato Europa-Giappone non è prevista alcuna corte sovranazionale competente; di conseguenza, eventuali ricorsi europei per quel mercato dovranno essere inoltrati al giudice «naturale» giapponese.

Un capitolo a parte riguarda gli appalti: viene agevolato l’accesso delle imprese europee al vasto mercato delle gare pubbliche in 54 grandi città giapponesi. E vengono cancellati gli ostacoli legislativi esistenti, a livello nazionale giapponese, per gli appalti nel settore ferroviario. Ma vediamo cosa cambia sul versante delle barriere tariffarie e non tariffarie.

Agroalimentare: il Giappone vale per gli agricoltori e i produttori alimentari europei un giro d’affari da 5,7 miliardi di euro Per l’Ue è il quarto mercato al mondo per esportazioni agricole. Ora, l’85% dei prodotti agroalimentari Ue (pari all’87% in valore) potrà entrare in Giappone esentasse. Ecco come:

– le carni suine trasformate sono esportabili senza dazi e le barriere spariranno quasi del tutto anche per le carni suine fresche. In più, i dazi sulle carni bovine scenderanno in 15 anni dal 38,5 al 9%;

– le esportazioni europee di vino in Giappone valgono circa un miliardo di euro e rappresentano la seconda voce di export: sparisce il dazio del 15% sul vino (che pesa per 130 milioni di euro), così come ogni altra tariffa sulle bevande alcoliche.

– l’Unione europea è il maggior esportatore di formaggi in Giappone. Il trattato azzera tariffe elevate su molti formaggi a pasta dura, come il Gouda e il Cheddar (attualmente al 29,8%, ma il range sale fino al 40%) e fissa una quota d’import esente da dazi per i formaggi freschi come la mozzarella;

– per l’agroindustria e la panificazione via i dazi doganali (con un periodo di transizione) per i prodotti trasformati, come pasta, cioccolatini, cacao in polvere, caramelle, dolciumi, biscotti, derivati di amido, pomodori preparati e salsa di pomodoro. Previste, inoltre, quote significative – esentasse o a dazio ridotto – per l’export di malto, fecola di patate, latte scremato in polvere, burro e siero di latte.

Indicazioni geografiche: l’accordo Ue-Giappone riconosce status speciale e protezione sul mercato giapponese per oltre 200 prodotti agricoli Ue a indicazione geografica (Ig), rendendo illegali le vendite di prodotti a imitazione.

Resta però il vulnus delle indicazioni generiche: in Giappone potranno continuare a essere venduti prodotti con nomi generici come «Parmesan», «Padano» (ma non Grana), «Pecorino», «Romano», non realizzati nei territori geografici tutelati dalle rispettive dop italiane, perché secondo Tokyo questi sono termini generici. Di più: «Si potranno produrre e vendere Asiago, Fontina e Gorgonzola non italiani per i prossimi sette anni», denuncia la Coldiretti, che lamenta: «Non è stata neanche prevista la ratifica dei parlamenti nazionali per un accordo che prevede la protezione di appena 18 indicazioni geografiche italiane agroalimentari sul totale di 293 (appena il 6%) e 28 vini e alcolici sul totale delle 523 denominazioni di origine e indicazioni geografiche riconosciute in Italia (5%)».

Tutto ciò, in effetti, sul fronte alimentare rende, su questo versante, l’accordo di libero scambio col Giappone più penalizzante rispetto a quello negoziato dall’Unione europea con il Canada (Ceta), attualmente applicato in via provvisoria (a parte il capitolo sull’arbitrato), in attesa della ratifica formale dei parlamenti nazionali degli stati europei. In ogni caso, le denominazioni italiane tutelate sono 46, pari a circa il 90% del valore dell’export agroalimentare italiano in Giappone. Tra le Ig europee vengono tutelati: Jambon d’Ardenne, Tiroler Speck, Polska Wódka, Manchego Cheese, Lübecker Marzapane e Irish Whiskey.

Prodotti industriali: abolite le barriere tariffarie sui prodotti industriali. Il colpo di spugna pesa soprattutto per settori come prodotti chimici, plastica, cosmetici, prodotti tessili e abbigliamento. Via anche l’attuale sistema di quote che limita l’export di pelle e scarpe: le tariffe in dogana sulle scarpe scendono dal 30% al 21%, ma il resto del dazio sarà eliminato entro 10 anni.

Le tariffe sui prodotti in pelle, come le borse, caleranno a zero entro 10 anni. Idem per scarpe sportive e scarponi da sci.

Pesca. Eliminata la maggior parte delle tariffe in dogana sia dall’Ue che dal Giappone.

Silvicoltura. Cancellazione immediata delle tariffe su gran parte dei prodotti in legno. Alcune barriere tariffarie saranno, però, rottamate entro 10 anni.

Barriere non tariffarie. L’accordo allinea alle stesse norme internazionali gli standard su sicurezza dei prodotti e protezione dell’ambiente; di conseguenza, le esportazioni di automobili europee in Giappone saranno più semplici, con un periodo di transizione fino alla cancellazione dei dazi della durata massima di sette anni. Equiparato anche il sistema di qualità sui dispositivi medici; dunque, crollano anche i costi di certificazione per i dispositivi europei esportati in Giappone.

Anche l’etichettatura dei materiali tessili diventa simile a quella europea; pertanto, le etichette tessili non devono più essere cambiate su ogni singolo capo esportato in Giappone.

Sparito il sistema di doppia notifica che prima inibiva in Giappone la commercializzazione di prodotti farmaceutici, dispositivi medici e cosmetici europei.

Infine, le birre europee possono finalmente essere esportate come birre e non come «bevande analcoliche»; il che abbatte anche il carico fiscale.

Fonte: Italia Oggi

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