Nonostante le frequenti denunce mediatiche contro la contraffazione di prodotti made in Italy e contro il fenomeno dell’Italian sounding, l’Italia non avrebbe fatto segnalazioni di sospette frodi alimentari alla Commissione europea attraverso i canali dedicati. Lo rivela Vytenis Andriukaitis, Commissario europeo per la salute e la sicurezza alimentare, in risposta a un’interrogazione di Mara Bizzotto. L’europarlamentare italiana aveva chiesto cosa intendesse fare l’Ue per contrastare la contraffazione di prodotti Made in Italy, che secondo i dati Coldiretti muove ogni anno un giro d’affari da 100 miliardi di euro.
La Commissione europea, ha ricordato Andriukaitis, dal 2016 ha messo a disposizione degli Stati uno strumento informatico – il sistema di assistenza e cooperazione amministrativa (Aca) – per denunciare e informare gli altri Paesi in merito a sospetti casi di frode alimentare. Il sistema permette di avere una rapida risposta dalle autorità del Paese in cui l’alimento contraffatto viene prodotto e/o commercializzato. Nel 2017, attraverso il sistema Aca, sono stati esaminati 178 casi di possibili frodi alimentari, ma nessuna segnalazione è partita dall’Italia.
Nel suo intervento, Andriukaitis ha sottolineato che l’Aca non è l’unico strumento con cui l’Europa si è impegnata. Risale infatti ai tempi dello scandalo della carne di cavallo, la rete Ue contro le frodi alimentari, mentre nel maggio 2018 la Commissione ha inaugurato il centro di conoscenze dell’UE sulle frodi alimentari e la qualità degli alimenti, una rete di esperti messa a disposizione per dare sostegno alle autorità nazionali ed europee con i più aggiornati dati scientifici.
Insomma, si chiede la Commissione, se gli strumenti per denunciare le frodi sono stati messi a disposizione di tutti i Paesi (Italia compresa), perché nessuno nelle nostre istituzioni, che pure spesso e volentieri denunciano il fenomeno del falso made in Italy e dei prodotti Italian sounding, si è preso la briga di segnalare i prodotti contraffatti di cui erano a conoscenza per fermarne la commercializzazione una volta per tutte?
Fonte: Il Fatto Alimentare