In questo periodo di crisi economica si parla spesso dell’italian sounding, termine che indica un prodotto agroalimentare distribuito all’estero, il cui nome rimanda alla tradizione italiana. Non è la prima volta che le nostre associazioni di categoria accusano aziende estere di utilizzare una discutibile strategia di marketing, proponendo copie di un prodotto tipicamente italiano dal nome ammiccante, ma con caratteristiche diverse rispetto all’originale, ingannando i consumatori. Le nostre aziende, per combattere quella che viene consideratauna concorrenza sleale, non vedono altra via che farsi riconoscere di fronte all’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC) le denominazioni di origine come prova del vero Made in Italy. La questione non riguarda direttamente i cittadini del nostro paese, anche se si tratta di un probema che in qualche caso crea difficoltà alle aziende presenti sui mercati esteri.
Non tutti però sono d’acordo con questa linea di condotta. Un’interessante analisi del mercato statunitense da parte di Cembalo et Al. (2008) arriva a conclusioni diverse. Secondo gli autori le dinamiche del mercato non si limitano al tentativo di imitare un prodotto straniero, ma bensì alla sua trasformazione, o meglio all’evoluzione, adattandolo alle necessità dei consumatori locali. In altre parole si dice che l’intenzione non è quella di copiare ma di adattare un prodotto alle necessità degli abitanti che vivono sul territorio (un po’ come si fa in Italia con il cibo asiatico). Gli autori della ricerca hanno preso in esame il mercato della pasta il cui valore supera i 2 miliardi di dollari. Le prime esportazioni verso gli U.S.A sono incominciate verso la seconda meta’ del 1.800 e oggi l’Italia, primo produttore mondiale, ha una fetta di mercato pari al 35{ca73ceedd433a34b0163808a2e860b06cc149419332601bf2d3f9b47cf66e0a6}.
Secondo la ricerca il consumatore medio tiene poco conto del paese di origine degli spaghetti, ma presta maggiore attenzione al rapporto qualità/prezzo. L’inganno non c’è perchè la dicitura “made in U.S.A.” sull’etichetta è molto chiara e nessuno vuole creare ambiguità u sulla provenienza. Per la precisione va detto che come avviene in molti paesi, quando un cittadino americano compra un prodotto statunitense ha un senso di sicurezzamaggiore in quanto si tratta di cibo locale. La possibilità di confondere un prodotto Made in Italy con uno che “suona” soltanto come italiano (Italian Sounding) non viene considerata un grave problema, ma come un’opportunità di acquistare un prodotto di qualità media a un prezzo competitivo. D’altro canto il Made in Italy vero è destinato a una fascia di consumatori medio-alta, i cosidetti foodies.
Fonte: ilfattoalimentare.it