Nomi, etichette, foto: tutto fa pensare al made in Italy alimentare d’eccellenza. Ma è la malizia dei produttori stranieri per conferire ai loro prodotti una patente ingannevole. “Soltanto negli USA – spiega Ambrosi, presidente di Assolatte – questo ‘scherzo’ produce un volume d’affari da venti miliardi di dollari”.
ROMA – L’alimentare è certamente il settore più colpito dalla contraffazione. Gli esperti lo chiamano “Italian sounding”, perché i produttori stranieri – di formaggio, pomodoro, pasta – sfruttano il momento magico che la cultura gastronomica italiana vive ormai da anni per produrre alimenti che “ricordano” i nostri: nel nome, nell’etichetta, con foto stilizzate del Vesuvio, del Colosseo o del Duomo di Milano, e poi tricolori sulle confezioni in gran quantità. C’è il Parmesao portoghese, il Grana Parrano, il Real Asiago Cheese prodotto in Wisconsin, il Salam Napoli rumeno, la Daniele Sopressata statunitense, senza alcun limite alla fantasia. E all’estero molti ci cascano anche se le differenze con il prodotto originale sono infinite.
Formaggi e latticini. Paradossalmente – e per motivi ovviamente contrapposti – persino i produttori italiani, per poter vendere all’estero i propri prodotti, sono costretti ad adeguarsi a questo folklore in etichetta. Perché il consumatore straniero si aspetta proprio quello. “A noi è stato chiesto da una catena della grande distribuzione francese – ricorda Giuseppe Ambrosi, presidente di Assolatte, l’associazione che raggruppa i produttori del comparto lattiero-caseario, e titolare dell’omonima azienda che produce formaggi tradizionali italiani – di connotare con un po’ più di italianità l’etichetta di alcuni nostri formaggi perché i consumatori esteri non li riconoscevano come italiani. Abbiamo dovuto rinnovare la confezione, con scritte in italiano e tricolori. Detto questo, è ovvio che all’estero ci imitano perché ai nostri prodotti viene riconosciuta una gran qualità, queste imitazioni hanno però un costo enorme per il settore: soltanto negli Stati Uniti sono in commercio 20 miliardi di dollari di alimenti ‘italian sounding’, contro un’esportazione dell’alimentare italiano che vale circa 2 miliardi. Dieci volte meno. I prodotti più imitati nel nostro settore sono il parmigiano reggiano, il grana padano, il gorgonzola e difendersi non è semplicissimo: il Canada, per esempio, è riuscito a depositare il nome gorgonzola come marchio mentre il nome mozzarella non è stato protetto in tempo ed è dunque utilizzabile da chiunque. Oggi il modo più concreto e rapido per difendersi fuori dai confini europei – dove c’è un riconoscimento dei marchi – è fare accordi bilaterali con gli Stati dove si esporta di più e andare all’estero per far assaggiare i nostri prodotti originali ed educare alla qualità. Certe volte il prodotto originale all’estero neanche lo si conosce, perché hanno sempre comprato parmesan”.
Caso ancora diverso quello della mozzarella di bufala. “La nostra situazione è unica nel settore lattiero-caseario – precisa il presidente del consorzio di tutela della mozzarella di bufala campana Dop, Antonio Lucisano – perché la mozzarella non può essere marchiata sulla superficie, come il prosciutto di Parma, il Grana Padano o il Parmigiano Reggiano. Questo crea un grosso problema di riconoscimento poiché è diffusissima la vendita di prodotto sfuso, non originale, e per di più si lascia quasi credere al consumatore che la mozzarella confezionata – l’unica garantita dal consorzio con marchio apposito – sia peggiore di quella sfusa. E così basta definire una qualunque mozzarella ‘mozzarella Lucisano di latte di bufala’ per non sottostare al disciplinare del consorzio – che impone l’utilizzo di latte fresco proveniente da Campania, basso Lazio e provincia di Foggia – e poter utilizzare anche latte congelato dal Sud America o dall’Europa dell’Est, latte concentrato, in polvere, o semilavorati. Non è che siano prodotti nocivi alla salute, ma la qualità è immensamente diversa. L’altro, ben più grave problema, è che non siamo riusciti a tutelare il nome e, così come il termine pizza, anche la parola mozzarella può essere usata in modo generico. E dunque è legittimo usare ‘mozzarella cheese’ o ‘mozzarella buffalo’ all’estero. Venti giorni fa a Shangai ho visto una mozzarella di bufala confezionata con il tricolore italiano in etichetta e la dizione ‘italian technology’. Naturalmente di italiano aveva solo l’etichetta. Infine, per noi la nota dolente dei costi del trasporto: per ogni chilo di prodotto siamo costretti a trasportare un chilo di liquido per tenere le mozzarelle a bagno, con un costo doppio”.
Pomodoro. Dietro un prezzo molto basso c’è un prodotto molto scadente. Non ha dubbi Maurizio Gardini, neopresidente di Confcooperative e a capo di Conserve Italia (Cirio, Valfrutta, De Rica, Yoga, Derby etc.). “Nella bottiglia di passata o nel barattolo di polpa il pomodoro è certamente italiano, anche per problemi e costi legati ai trasporti – chiarisce – ma se andiamo su prezzi bassissimi, qualche decina di centesimi, non può più esserci qualità. Per questo eviterei di comprare il primo prezzo nei discount”.
All’estero, invece, è facile trovare marchi italiani contraffatti su prodotti preparati con pomodoro cinese. “Da noi il pomodoro cinese arriva soltanto come concentrato – racconta Gardini – l’anno scorso circa un milione e duecentomila quintali di triplo concentrato di pomodoro cinese sono arrivati in Italia in grossi fusti da circa due quintali e mezzo. È un prodotto molto concentrato, equivale a circa 9 milioni di quintali di pomodoro fresco. Basti pensare che per fare un chilo di triplo concentrato occorrono circa 7 chili di materia prima. La domanda dei consumatori sull’utilizzo di questo prodotto in Italia è legittima. In gran parte viene diluito con acqua e ripastorizzato, cosa che determina un’alterazione organolettica, il classico sapore di ‘cotto’, e poi esportato per essere utilizzato come condimento di pasta o pizza. In altri casi viene invece esportato tale e quale poiché in alcuni paesi dell’Africa si utilizza spalmato sul pane. E infine usato per produrre salse tipo Ketchup. La differenza principale tra i prodotti esteri e i nostri è che il pomodoro italiano proviene per tre quarti da un’agricoltura integrata, con un utilizzo controllato di pesticidi, e in sole quattro ore la passata viene preparata e imbottigliata, si sente davvero il profumo del pomodoro. In Cina – e non solo – esistono invece normative diverse, e in certi casi più permissive delle nostre, sull’utilizzo della chimica in agricoltura”.
Schierate contro i falsi, alimentari e non, anche le associazioni dei consumatori. Movimento difesa del cittadino e Legambiente hanno messo a punto un manifesto del buon cibo, mentre l’Unione nazionale consumatori ha dedicato più di un incontro al tema specifico della contraffazione e un’utile guida scaricabile online.
Fonte: Repubblica