Non sono rari i casi, purtroppo, in cui eccellenze del territorio vengono storpiate e vendute a basso costo all’estero. Il fenomeno dell’Italian sounding non è una novità, così come è noto il giro d’affari milionario che genera il falso made in Italy anche in ambito alimentare. Il re dei cibi italiani contraffatti è il parmigiano reggiano, prodotto solamente in Emilia Romagna e secondo il rigido disciplinare. E proprio per tutelare l’autenticità di questo prodotto e del “fratello”, il Grana Padano, un team di ricercatori dell’Università Cattolica di Piacenza ha elaborato un test che consente di smascherare il falso grana padano e il falso parmigiano. Vediamo insieme di cosa si tratta, andando ad approfondire anche perché proprio questi cibi hanno bisogno di una tutela scientifica in più.
PARMIGIANO E GRANA: I FORMAGGI PIÙ RUBATI AL MONDO
Nel 2014 la produzione di Parmigiano e di Grana falsi ha superato per la prima volta quella degli originali: ben 300 milioni di kg prodotti negli Stati Uniti, in Russia, in Brasile, in Argentina, in Australia con nomi evocativi come “Parmesan”, “Parmesao”, “Reggianito” e il “Parmesan Perfect Italiano”. Negli Stati Uniti esiste addirittura un kit per il parmigiano “fai da te”, che promette di realizzare la tua forma in due mesi direttamente in casa. Per sollevare anche una sola perplessità di fronte a questo prodotto, basti pensare che per l’originale sono necessari 12 mesi di stagionatura.
Oltre alla questione della falsificazione in sé, ciò che preoccupa è il danno economico considerevole per tutte le aziende che si dedicano alla produzione di questo tipo di formaggio sul territorio emiliano-romagnolo e non soltanto, seguendo le regole e trovandosi a competere sul mercato con alternative di bassa qualità, vendute, naturalmente, ad un prezzo più basso. Un problema che è finito al centro dell’accordo europeo con il Canada (CETA) che, proprio per contrastare l’italian sounding, vieta l’utilizzo di simboli che evocano l’Italia, fissando anche l’obbligo di specificare in etichetta il Paese in cui il prodotto è stato realizzato.
Tuttavia il falso parmigiano e il falso grana arrivano fin sulle nostre tavole, direttamente in Italia. Infatti, Coldiretti denuncia come sia cresciuto in questi anni anche il business dei “similgrana”, ovvero dei mix di formaggi di bassa qualità commercializzati come alternative low cost di Grana e Parmigiano, ma che non hanno nulla a che fare con l’Italia. Sono prodotti, infatti, in Repubblica Ceca, Ungheria, Polonia, Estonia e Lettonia.
FALSO PARMIGIANO ANCHE IN ITALIA
Non mancano casi di cronaca legati alla falsificazione di grana padano e parmigiano reggiano anche in Italia. Lo scorso mese di marzo, infatti, i Nas di Parma hanno sequestrato 18.000 forme di Parmigiano Reggiano (per un valore di circa 10 milioni di euro) per sospetta frode. In particolare, sono state trovate all’interno di uno stabilimento in provincia di Mantova delle fasce marchianti assegnate, invece, a un caseificio in provincia di Reggio Emilia. Queste fascette, fornite direttamente dal Consorzio di tutela, hanno lo scopo di imprimere sulla forma, esternamente, matricola, annata e mese di produzione di quella specifica forma di Parmigiano Reggiano, e lo scopo è proprio testimoniare e garantire la correttezza del procedimento seguito per realizzare il formaggio. Scambiare le fascette, spostarle da uno stabilimento all’altro e utilizzarle rappresenta, dunque, una frode e una modalità per falsificare questo prodotto d’eccellenza anche negli stessi territori che ne sono culla.
Complessivamente, Coldiretti stima che la falsificazione del Parmigiano Reggiano porta un danno di 8 miliardi di Euro all’anno e mette a rischio 30.000 posti di lavoro, solo in Emilia-Romagna.
UN TEST PER IL FALSO GRANA
Proprio perché il problema della falsificazione di Parmigiano Reggiano e Grana Padano coinvolge molti attori differenti e ha conseguenze pesanti sull’economia del Made in Italy, le associazioni di categoria sono impegnate da tempo nella ricerca di una soluzione. Hanno accolto, dunque, con entusiasmo la novità proposta dall’Università Cattolica di Piacenza che ha elaborato un vero e proprio test capace di individuare il falso parmigiano e il falso grana.
La ricerca, coordinata dal professor Marco Trevisan, presidente della facoltà di Scienze agrarie della Cattolica – sede di Piacenza, è stata pubblicata sulla rivista Food Research International e dimostra come sbugiardare, per ora, un falso Grana Padano. Grazie all’analisi metabolica, gli studiosi sono stati in grado di elaborare una maniera per risalire, partendo dal pezzo di formaggio, alla composizione del latte, alla dieta della mucca e al pascolo dove è stata allevata. Queste informazioni consentono, infatti, di individuare quali sono i metaboliti vegetali con cui è stato nutrito l’animale, diversi rispetto a quelli impiegati altrove. I ricercatori hanno individuato in particolare tra le 800 e le 1000 molecole utili per identificare il prodotto DOP.
Il prossimo step è adattare questa tecnica anche al Parmigiano Reggiano: Trevisan spiega a Repubblica che “cercheremo di riconoscere il formaggio prodotto con latte di animali allevati in montagna e con fieno fresco da quello proveniente da animali cresciuti in pianura.” Ma le potenzialità della scoperta dell’Università piacentina non finiscono qui, poiché il metodo può essere applicato per risalire all’origine anche di altri alimenti di origine vegetale oppure provenienti da animali che si nutrono di vegetali come, per esempio, olio, nocciole o zafferano.
Un’evoluzione accolta con entusiasmo anche dalla Coldiretti, da anni in prima linea per la tutela del made in Italy contro l’Italian sounding, che commenta: “Con il falso parmigiano che nel mondo supera quello vero, è importante l’arrivo di nuove tecnologie che consentano di smascherare le imitazioni a vantaggio dei consumatori e delle aziende e lavoratori italiani impegnati a garantire l’offerta dei formaggi italiani più venduti nel mondo.”
Fonte: Il Giornale del Cibo