Il 93% dei cittadini italiani ritiene importante conoscere l’origine degli alimenti, secondo l’indagine online del ministero delle Politiche agricole. In scia con la richiesta dei consumatori che chiedono sempre maggiore trasparenza su ciò che portano in tavola, si inserisce il decreto nazionale interministeriale che introduce l’indicazione obbligatoria della provenienza per le carni suine trasformate, dopo il nulla osta da parte della Commissione Europea. La stessa che ha varato la politica Farm to Fork per garantire ai cittadini europei che l’opzione più sana sia al contempo quella più facile, anche grazie a una migliore e più limpida etichettatura per rispondere più adeguatamente alle esigenze sulle informazioni in materia di alimenti sani e sostenibili, senza dimenticare l’indicazione d’origine.
Il decreto mira a garantire trasparenza nelle scelte ai 35 milioni di italiani che almeno ogni settimana scelgono di consumare salumi, secondo un’analisi Coldiretti su dati Istat, ma anche per sostenere i 5mila allevamenti nazionali di maiali messi in ginocchio dalla pandemia e dalla concorrenza sleale, a sostegno delle centomila persone che lavorano nel settore, con un fatturato tra trasporto e distribuzione di circa 20 miliardi.
Salami, mortadella, prosciutti e culatello, potranno giovarsi del tricolore sull’etichetta solo se saranno 100% Made in Italy, dalla materia prima al confezionamento. Una filiera garantita che rappresenta una garanzia di genuinità e salubrità, in linea con quanto è emerso nel Rapporto su italiani e agricoltura, commissionato da Fondazione Univerde a Noto sondaggi. In particolare, alla domanda: “Rispetto a quelli provenienti da altri Paesi i prodotti italiani sono più…” il campione di consumatori intervistato ha risposto per il 70% che sono più saporiti, il 66% più genuini e per il 66% più controllati.
Che sia lo stop definitivo all’invasione di carni semilavorate provenienti ogni anno nel nostro Paese dall’estero, in una quantità media di 56 milioni di pezzi, finalizzati, una volta rilavorati allo spaccio di prosciutti dolosamente etichettati con un Made in Italy non meritato. Addirittura 3/4 dei prosciutti venduti in Italia pare siano ottenuti da carni straniere, senza che questo sia stato fino ad ora esplicitato in etichetta a vantaggio di Paesi come la Germania e l’Olanda.
Una misura importante anche per fermare le speculazioni con i prezzi dei salumi in aumento del 3,5% al dettaglio mentre secondo un’analisi Coldiretti, dall’inizio della pandemia, le quotazioni dei maiali italiani si sono quasi dimezzate e scese a poco più di un euro al chilo, mettendo a rischio le stalle e, con esse, la prestigiosa norcineria Made in Italy, a partire dai 12,5 milioni di prosciutti DOP, Parma e San Daniele.
Si mira ad una maggior consapevolezza dei consumatori e delle imprese di trasformazione, affinché la dicitura “100% italiano” sia utilizzabile, dunque, solo quando la carne è proveniente da suini nati, allevati, macellati e trasformati in Italia.
Fabrizio Capaccioli
Managing Director ASACERT
“L’Italia deve rivendicare in Europa, con ogni mezzo a disposizione, il primato su temi sentiti e sensibili come l’impulso e la transizione verso produzioni in linea con i criteri di trasparenza e sostenibilità. Si tratta di parlare chiaro e di agire limpidamente, è il tempo di essere strategicamente lungimiranti, pensare davvero al futuro e ai temi della salute sempre più connessi a quelli di una economia sostenibile e green. Noi, facciamo la nostra parte, muoviamo la nostra azione in favore della tutela dei sani prodotti agroalimentari italiani nel mondo con il nostro Protocollo di certificazione ITA0039, che sta diventando punto di riferimento e, allo stesso tempo, obiettivo di tanti imprenditori del food tricolore all’estero.”